Lettera del Ministro al Corriere della Sera
Corriere della sera
Caro Direttore,
il dibattito sul diritto all’accesso a Internet aperto dal Professor Romano Prodi e dal Presidente del Parlamento Europeo David Sassoli mi induce a condividere con i suoi lettori alcune riflessioni che riguardano l’Italia e l’Unione Europea.
Viviamo in una fase storica di innovazione tecnologica impetuosa. Da tempo assistiamo all’esistenza di una molteplicità di velocità dentro e fuori la nostra società. Alcune aziende internazionali corrono, sono locomotive di questa evoluzione vorticosa e si potenziano. La società, nella vita di tutti i giorni, in un modo o nell’altro si adegua alle novità. Gli Stati democratici ai quali dobbiamo le nostre libertà arrancano.
Sì, gli Stati democratici arrancano. Non che debbano assecondare qualsiasi avanzamento delle tecnologie, ma non è bene che essi, nei più dinamici dei casi, debbano limitarsi a rincorrere le soluzioni tecniche fornite dai grandi gruppi internazionali. È avvilente che gli Stati democratici non si pongano quasi mai in posizione, se non di guida dell’evoluzione, almeno di ispirazione di una cornice giuridica di questi cambiamenti, i quali non andranno tutti disciplinati per legge e tuttavia non sempre crescono sani se si trovano del tutto al di fuori del diritto.
Ci rendiamo conto che l’Italia non dispone, nella sua macchina dello Stato, della quantità di competenze necessaria nel nostro tempo? Crediamo forse che, in maniera diffusa al suo interno, la nostra Repubblica sia provvista delle competenze adatte a farle capire per tempo la tecnologia in sé che adotterà e che di volta in volta verrà prodotta dai grandi gruppi? È in grado di valutare in anticipo l’impatto sociale e di politica internazionale che quella tecnologia avrà non solo nel medio o lungo periodo, perfino a breve termine?
Purtroppo, il nostro Paese tende a subire l’innovazione. Tende a oscillare tra due estremi: adottare acriticamente soluzioni tecnologiche che non può darsi da solo o, per pregiudizio autorassicurante più che per argomentata valutazione, a respingere le novità. Un socio fondatore dell’Unione Europea invece ha interesse a essere protagonista dell’innovazione.
Gli aiuti che ci stanno per arrivare dall’Ue ci impongono un salto di qualità. È un’esigenza nostra, non pretesa altrui. Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha definito giustamente “storico” questo momento per l’Europa e per l’Italia.
Garantire a tutti l’accesso a internet per esempio non significa solo garantire un’adeguata infrastruttura di connettività (e il nostro Paese ne ha assoluto bisogno), ma anche un adeguato livello di alfabetizzazione informatica di lavoratori e cittadini. Si rischia, altrimenti, di trovarsi come in una casa raggiunta dall’energia elettrica e però priva di lampadine e elettrodomestici: inutilmente connessi.
Terzo Stato dell’Unione Europea per abitanti e per prodotto, abbiamo il dovere di assicurare all’Italia una posizione di avanguardia nella competizione internazionale. E questa si basa molto sul dinamismo di ciascun Paese in campo tecnologico.
Ha scritto di recente Prodi: “La vera grande conseguenza del Covid-19 è che i giganti dell’Internet sono diventati i dominatori della scena mondiale, con una capacità di influenza politica ed economica senza precedenti”. Ha osservato Sassoli: “Siamo abituati a pensare alla Rete troppo in termini di piattaforme e algoritmi e meno in chiave di diritti”.
Far fronte a questi problemi, seri, significa superare logiche di retroguardia e prefiggersi un recupero del peso delle istituzioni democratiche di fronte a questi cambiamenti. Significa, per esempio, rendere corrispondente al 2020 la Pubblica Amministrazione.
Nel decreto legge “Semplificazione e innovazione digitale”, presto all’esame delle Camere, abbiamo previsto una norma che obbliga tutti gli uffici pubblici salvo rare eccezioni a rendere anche digitali i rispettivi servizi. Ciò deve consentire ai cittadini di poter effettuare dal proprio telefonino tutte le pratiche che li riguardano. Ma non nascondiamoci la realtà: anche se ne sono presupposti, non bastano una legge né la volontà di un governo per un’impresa del genere. Siamo chiamati in tanti a una prova di responsabilità: sosteniamo l’applicazione di questa norma da parte della vasta gamma di soggetti tenuti ad applicarla o la si frena, si ostacola, si rallenta?
Occorre impegno attivo non esclusivamente dalle forze della maggioranza di governo. Lo dico, con rispetto e attenzione, a Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia, rappresentanti di italiani del cui impegno non possiamo fare a meno per mettere il nostro Paese in condizioni di reggere sempre meglio alla competizione internazionale. Lo dico anche agli enti locali, agli imprenditori e alle organizzazioni sindacali.
Chi è al governo oggi deve gestire una situazione complessa e stratificata, frutto di decenni precedenti. Chi andrà al governo in futuro dovrà gestire anche ciò che viene determinato adesso. Se abbiamo a cuore presente e futuro dell’Italia dobbiamo recuperare proiezione in avanti e capacità di convergere su ciò che conviene all’intero Paese. L’alternativa è corrodere ciò che abbiamo. È il declino. Occorre avanzare per tempo, non arretrare. E, il più possibile, avanzare insieme.