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Con il digitale un'Italia più giusta per giovani e donne

Il ruolo della connettività per aumentare le opportunità di apprendere, cercare lavoro e fare impresa

Data 01 maggio 2021
Fonte

La Repubblica

Argomenti Italia digitale 2026

Io sono un idraulico del digitale, il mio compito è innanzitutto mettere le nuove tubature dell'Italia come si fa in una casa quando bisogna ristrutturare

Vittorio Colao, 59 anni, è il Ministro per l'innovazione tecnologica e la transizione digitale, per dieci anni (dal 2008 al 2018) è stato il Ceo di Vodafone, gigante britannico della telefonia, si è laureato alla Bocconi e ha conseguito il master ad Harvard, ha guidato la commissione del governo Conte incaricata di elaborare proposte per il post pandemia. Dice di non vedere «una particolare cesura tra il mondo del business e la politica» e che il suo è un ruolo «realizzativo più che politico». Questa è la sua prima intervista da ministro del governo Draghi. Parla dell'obiettivo di un Paese «più equo e con più opportunità per i giovani e ìe donne» grazie alla connessione digitale e anche del ruolo dello Stato nell'economia: «Fare l'arbitro e stimolare il gioco». Risposta che vale pure per la questione della rete unica (quella tra Tim e Open Fiber) dove - spiega - il governo non si schiera perché «spetta agli operatori individuare le soluzioni di merito purché tutto il Paese possa avere la banda ultralarga».

Ecco, ministro, l'Italia occupa la 25° posizionetra i 27 Paesi europei per livello di digitalizzazione. Insomma siamo in fondo alla classifica, eppure il governo nel Piano nazionale di ripresa e resilienza ha fissato un obiettivo a dir poco ambizioso: scalare la classifica e raggiungere le prime posizioni tra fine 2026 e inizio 2027. Come pensatedi poterlo fare, considerando che Paesi come Germania e Francia investiranno più di noi nel digitale?

«Sì, è un obiettivo ambizioso, molto ambizioso. Questa volta abbiamo le risorse necessarie per poterlo conseguire. Vogliamo consentire a tutti, Famiglie, scuole, imprese di avere la connessione ultraveloce, vogliamo raggiungerei target europei qualche tempo prima del termine previsto. È del tutto realistico progettare di raddoppiare la copertura della banda larga, sia fissa sia 5G. Ci stiamo già lavorando. Serve il governo nel ruolo di arbitro per garantire una buona concorrenza tra operatori, servono i fondi del Pnrr ma servono anche gli investimenti privati».

Francia e Germania faranno di più.

«Non credo che sia così. In valori assoluti investiamo di più noi: 6,5 miliardi contro 2-4 miliardi. Partiamo con qualche ritardo ma anche nella pubblica amministrazione di passi avanti ne sono stati fatti diversi, penso ai 20 milioni di utenti che si sono dotati dello Spid, alla carta d'identità elettronica, alle applicazioni per i pagamenti alla Pubblica Amministrazione. Dobbiamo accelerare il passaggio al cloud e creare una visione di contesto coerente. Siamo un po' indietro ma stiamo sistemando i mattoni giusti».

Quando parla di "governo arbitro" si riferisce anche alla vicenda della rete unica? Aggiungo: è necessaria la rete unica?

«Il governo è arbitro, non giocatore. Vaassicurata l'equità nell'accesso alla connessione veloce e una concorrenza aperta e leale. Vogliamo assicurare che ci siano le stesse condizioni per chi vive alle pendici della Sila e chi nel centro di Roma. Spetta agli operatori privati trovare le soluzioni concorrenziali o consortili e quale tecnologia usare».

Quali settori economici equali soggetti sociali saranno i maggiori beneficiari della digitalizzazione che avete in mente con la spinta determinante della Commissione europea?

«Sono fondamentalmente i giovani i grandi beneficiari di questo processo, nelle tré declinazioni: maggioreopportunitàdi apprendimento, maggiore accesso al lavoro, più opportunità imprenditoriali. Ma subito dopo ci sono le donne, direi per le stesse ragioni. Se pensiamo di rilanciare il Paese, che viene da decenni di crescita bassa e di debito, non possiamo permetterci di farlo senza utilizzare al meglio il 50 per cento delle nostre risorse. Non a caso prevediamo a fine piano quasi il 4 per cento di crescita dell'occupazione per le donne. Ma c'è un altro aspetto che va considerato».

Quale?

«Quello della semplificazione normativa. Sono molto scettico, per esempio, quando vedo numerosissimi convegni sull'innovazione perché credo che la vera questione sia quella della semplificazione, del superamento dei "lacci e lacciuoli" burocratici che impediscono investimenti e l'innovazione. Su questo stanno Facendo un importante lavoro il ministro Brunetta e il ministro Giovannini».

Come pensa di affrontare l'impressionante ritardo che la popolazione italiana ha accumulato in termini di conoscenze ditali visto che il 17 per cento dei nostri connazionali tra i 16 e i 74 anni non ha mai usato Internet, contro il 9 per cento della media europea?

«Si recupera dando la connettività, avviando programmi di formazione, ammodernando la pubblica amministrazione. A questo scopo prevediamo anche una sorta di servizio civile digitale».

Non ha finora parlato delle imprese. Eppure la nostra scadente produttività dipende anche dalle caratteristiche del nostro sistema produttivo: troppe piccole imprese, scarsamente innovative e poco patrimonializzate.

«Nel Pnrr nel Fondo complementare da 30 miliardi sono stati stanziati circa 18 miliardi per la Transizione 4.0, incentivi sotto diverse forme per spingere la digitalizzazione delle competenze nelle imprese. Le quali - ed è un aspetto moito interessante -, obbligate dalla pandemia, hanno compiuto, a tutti i livelli, passi significativi verso la digitalizzazione. Sono stati importanti i progressi fatti: c'è chi ha cominciato a vendere per e-mail, chi ha costruito un sito per vendere, chi è entrato in una piattaforma e-commerce. Ecco il nostro sforzo è quello di aiutare tutte le imprese a salire uno o due gradini ancora in questa direzione. Dobbiamo rendere strutturale questa trasformazione».

Sono accenni, se non capisco male, di una nuova politica industriale. Lei è stato un manager di livello mondiale, cosa pensa del ritorno dello Stato nell'economia?

«Lo Stato nell'economia ha sempre fatto tré cose: ha regolato i mercati, è intervenuto direttamente di fronte ai fallimenti del mercato, ha stimolato gli investimenti. A secondo dei momenti, viene più o meno enfatizzato uno di questi ruoli».

Si considera un liberista oun keynesiano?

«Un liberista moderato. Per mia natura non amo schierarmi agli eccessi. Credo che l'ideale sia una buona combinazione tra lo Stato-arbitro e la libertà di iniziativa».

Come spiega il fatto che il Piano nazionaledi ripresa e resilienza, ora all'esame della Commissione di Bruxelles, sia stato pensatoe scritto prevalentemente da ministri tecnici: il presidente Draghi, lei, i ministri Cingolani, Giovannini, Cartabìa? I partiti politici non sono più in grado di generare classe dirigente all'altezza di questi compiti?

«Non sono d'accordo con la sua lettura. Il Pnnr interseca tutti i settori, non solo quelli che ha elencato lei. Ci sono la salute, il welfare, il Mezzogiorno sviluppo industriale, il turismo, la cultura, l'agricoltura. E tutti i dicasteri di riferimento sono guidati da ministri che provengono dai partiti».

Le piace fare politica?

«Sono qui a fare un lavoro appassionante: contribuire a fare dell'Italia un Paese con più opportunità e più merito. Un Paese migliore per i nostri figli. Non vedo una grande cesura tra il mondo del business, da cui provengo, e quello della politica. Penne vedo un ruolo più realizzativo».

Il presidente Draghi, nel suo discorso in Parlamento, ha individuato nella "corruzione, stupidità e interessi costituiti" i maggiori potenziali nemici delle riforme che avete promesso. È d'accordo? Allungherebbe l'elenco?

«Mi ha molto colpito quel passaggio del discorso di Draghi. Concordo con lui, trovo che ci sia tutta la rappresentazione delle ragioni che hanno impedito all'Italia di liberare interamente le sue potenzialità e che tutti dobbiamo sostenere riforme e cambiamento»

Intervista di Roberto Mania pubblicata il primo maggio 2021 sull'edizione cartacea di La Repubblica.

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